Mio figlio Davide ha sempre avuto una grandissima passione per gli animali: collezioni di centinaia di peluches, libri, giocattoli di ogni dimensione, materiale e colore!

Conosce gli esemplari più rari, i nomi più insoliti, di qualsiasi specie ed habitat, guarda con attenzione i documentari di National Geographic….insomma è un vero e proprio esperto! 

Io dal canto mio sono da sempre un’appassionata di viaggi, in particolare di quei viaggi che lasciano una traccia indelebile nell’anima. E vorrei piantare nei miei figli un piccolo seme della stessa passione che spero possa crescere con loro. 

L’insieme di questi due grandi amori ha ispirato l’idea di regalare a Davide per il suo nono compleanno un viaggio in Namibia, destinazione perfetta per:

  • fare safari, vedendo animali liberi nel loro ambiente naturale

  • ammirare paesaggi diversi tra loro e così distanti dai nostri: la savana, tre deserti, l’oceano

  • un viaggio sicuro, considerando che avrei viaggiato con un bambino: pulito, ben organizzato, senza rischio malaria.

L’alternativa sarebbe stata il Sudafrica (ma ci ero già stata), la Tanzania (non adatta nel mese di Aprile) o il Botswana (ma con qualche attenzione in più per la malaria). Mi riprometto che andremo anche lì!

 

Da qualche mese prima inizio a dire a Davide che avremmo fatto un viaggio meraviglioso (ovviamente avevamo già fatto altri viaggi insieme, ma niente di così “importante”) e lui mi chiede di dargli un indizio ogni tanto, ogni settimana uno: natura, animali, posto lontano in un altro continente; in breve capisce che si tratta di Africa ma non identifica ancora il Paese.

 

Poi un giorno mentre sono seduta alla mia scrivania lui inizia a curiosare nel mio book di lavoro con i viaggi che stavo organizzando per i miei clienti, leggendo su ogni cartellina il post-it con nome e destinazione, fino ad arrivare al post-it

“Namibia”

senza nome ma con un cuore…

Nell’esatto momento in cui capisce mi guarda con i suoi occhioni blu spalancati e – come in tutti i momenti più belli della mia vita – il silenzio si carica di emozioni, in quegli occhi vedo passare tutta la meraviglia dell’Africa:

  • i colori dei tramonti

  • la magia dei cieli stellati

  • il vento nel deserto

  • l’immensità  della savana…

Tutto in un attimo.

 

E poi lui scrive sotto al post-it:

“Davide e mamma” con un cuore

ed un suo bel disegno con gli animali africani prende posto trionfante sulla mia scrivania.

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Nei giorni prima della partenza Davide racconta a tutti che in Namibia avrebbe fatto il bagno in piscina, ha visto sul catalogo la foto di uno dei nostri Lodge e – per una strana logica infantile  – é la cosa di cui si “vanta” di più con tutti, sorellina compresa.

Angela, 4 anni, vuole assolutamente venire in Namibia con noi, non capisce perché lei non possa.

Provo a spiegarle che alla sua età é troppo stancante e che avrebbe dormito nelle tende con i leoni intorno, ma lei non si rassegna:

“mamma ma io non ho paura delle tende”

omettendo chissà quanto inconsciamente ogni riferimento ai leoni!) e per convincerla – facendo leva sulla sua golosità – le diciamo che mentre lei avrebbe mangiato gelato, mozzarella e spaghetti con le vongole (i suoi cibi preferiti) noi avremmo dovuto mangiare le antilopi, ma lei non riesce a dirlo bene…dice antiPOLI!

Il giorno della partenza arriva in un baleno, armati di tutto il necessario – niente é importante per Davide come il suo nuovo binocolo verde – salutiamo papà e Angela, un po’ preoccupata perché avremmo mangiato le “antiPOLI”.

Il volo di andata va liscissimo, una vera festa per Davide, “libero” come non mai di vedere film e giocare ai videogiochi!

 

Atterrati a Windhoek ci accolgono una bellissima brezza calda e Stefano, la nostra simpatica guida genovese (anzi di Chiavari come ama specificare lui), innamorato della Namibia dove ormai vive da “soli” 18 anni!

Conosciamo Roberta e Sergio, Giorgio e Elsa, Morena e Armando, i nostri 6 compagni di viaggio.

Davide entra subito nell’eccitante ruolo dell’esploratore, il suo spirito di avventura prende il sopravvento: pensa di potersi muovere liberamente come fosse nel suo giardino!

Cerco subito di trovare (operazione non semplice in un paese che non si conosce) un equilibrio tra la sua libertà e la sua sicurezza, mi dico che non ha senso averlo portato fin laggiù per tenerlo “al guinzaglio” ma il mio istinto di mamma gli impone alcune inevitabili regole di sicurezza.

Non conoscendo le condizioni igieniche dei bagni (che poi scopro essere ottime, anche se dopo aver visto i bagni indiani credo che tutti mi sembreranno puliti!) all’inizio lo forzo a venire con me in quelli per le donne (si arrabbia moltissimo e sarà la prima e ultima volta che ci riuscirò durante questo viaggio!)

Saliamo tutti e 9 a bordo della Toyota Land Cruiser che ci scorrazzerà per tutta (o quasi) la Namibia con Stefano alla guida.

Dopo pochi chilometri arriviamo nel nostro primo Lodge , il Na’ankuse, bella struttura con piscinetta affacciata sul “bush”.

 

Con grande disappunto di Davide non c’è tempo per fare il bagno (lo tranquillizzo promettendogli che avrà modo nei giorni seguenti) perché dopo poco partiamo per una prima piccola escursione, dove vediamo animali in semi-cattività, (“è solo per un primo assaggio da vicino” ci spiega Stefano); confondo un ghepardo con un leopardo, con tanto di rimprovero da parte di Davide “mamma hai fatto una figuraccia!”, come se fosse facile distinguerli.

Il Lodge ha poche bellissime stanze, arredate magnificamente con legni e materiali locali, ”molto chic” come ama dire Davide quando qualcosa gli piace molto.

 

A cena ha meno entusiasmo: inizia a scoprire la cucina namibiana, dai sapori un po’ estremi per lui che ha già gusti difficili a casa. In verità Lapo, il bimbo suo coetaneo dell’altro gruppo, assaggia e gradisce tutto, infatti la cucina non è poi così male: molta carne (di orice, di springbok, di kudu, ma anche di manzo e pollo).

Passiamo una prima notte stupenda, dopo aver assicurato a  Davide che non entreranno scorpioni nelle nostre scarpe come aveva visto in alcuni documentari (forse ne ha visti TROPPI!) grazie ad una sequenza di “rituali” che ho dovuto ripetere ogni singolo giorno del viaggio:

  • sbatterle

  • metterle nella tasca della valigia chiudendo la Zip (ci mancava solo che mi chiedesse di mettere la combinazione al lucchetto!)

  • sbatterle di nuovo la mattina seguente.

 

Il giorno dopo facciamo il primo dei lunghi trasferimenti (590 km di strade non esattamente asfaltate – faremo in tutto quasi 3.400 km in 10 giorni).

   

 

I viaggi lunghi in macchina non sono amati da nessun bambino, cerco di ingannare il tempo con vari escamotage:

  • canzoncine

  • il gioco delle associazioni (questo in particolare genererà i momenti più divertenti e risate “sotto i baffi” per me e la nostra compagna di viaggio Morena, incuriosita dalla fantasia di Davide – al mio Paperino Davide associa Donald Trump!)

  • gli sciogli-lingua (“Apelle figlio di Apollo” ripetuto ininterrottamente centinaia di volte ha messo a dura prova l’infinita pazienza dei nostri compagni di viaggio, soprattutto di Armando, il malcapitato che ha fatto tutto il viaggio seduto accanto a noi); la conta di chi vede più animali (dopo aver stilato una nostra personalissima classifica di punteggio assegnato al singolo animale)

  • racconti sulle “monellate” di Angela.

Nei tragitti più lunghi e momenti più difficili devo cedere ad un compromesso: i giochi sul mio I-pad, anche per dare un po’ di tregua “acustica” agli altri!

 

Arriviamo finalmente nella riserva di Etosha Eights. Iniziamo a vedere tanti diversi tipi di antilopi, gnu, giraffe…..Wow!

Il nostro Lodge è in una posizione da sogno, ci accoglie una vista mozzafiato, sento Davide urlare come Buzz Lightyear

“Verso l’infinito e oltreeee!”

mentre guarda la savana africana con tanto di pozza (illuminata di notte!) per far abbeverare gli animali. La stessa vista ci lascia di nuovo a bocca aperta nella nostra meravigliosa stanza con terrazzino e doccia esterna.

Fare la doccia all’aperto mentre guardo gli elefanti abbeverarsi è un’esperienza che non dimenticherò mai.

E’ uno di quei momenti (non rari in Africa) in cui ti senti in connessione con madre natura.

 

Poco prima del tramonto andiamo con la macchina aperta del ranger giù alla pozza dentro l’”hide” (un nascondino) per vedere gli animali che vanno ad abbeverarsi.

Qui ci accoglie uno degli spettacoli più emozionanti di questo viaggio: decine e decine di elefanti che arrivano con il loro passo sicuro e silenzioso alla pozza, adulti e cuccioli che bevono, si immergono, giocano.

Rimaniamo lí a guardarli estasiati in religioso silenzio mentre il sole inizia a calare.

 

Non vorremmo mai andare via, ma il ranger ci convince a  riprendere la macchina: lo chiamano con la radio perché hanno avvistato una leonessa!

Attraversiamo la savana con il caldo vento africano tra i capelli. Ancora me lo sento meravigliosamente addosso.

 

Troviamo la leonessa mentre beve e si aggira vicino a due giraffe sospettose ma non in pericolo (Davide mi spiega che non può aggredirle perché da sola non ce la farebbe, deve essere in gruppo), la seguiamo in mezzo al Bush, ci attraversa davanti.

 

Nel frattempo la savana si tinge di rosso per il tramonto, provo di nuovo nitida e forte la sensazione che avevo provato anni prima in Sudafrica:

mi sento – sono – un ospite che ha

il privilegio di entrare in punta di piedi

nel regno di questi incredibili animali,

posso solo ammirarli e rispettarli

ed essere grata per questo. 

 

Una gran bella avventura per Davide da me soprannominato “il rangerino”, su cui inventiamo una canzone in rima con cui devo svegliarlo ogni mattina del nostro viaggio.

La sera dalla nostra stanza vediamo gli animali abbeverarsi alla pozza illuminata e la notte sentiamo i barriti degli elefanti che echeggiano nella savana: quale splendida musica per le nostre orecchie…solo l’Africa può dare certe sensazioni!

 

E’ un ritorno alle origini.

Un tangibile richiamo verso

il proprio istinto ancestrale.

 

Il giorno dopo abbiamo la sveglia prima dell’alba, è solo la prima di una lunga serie “mamma ma perché in Namibia si fa sempre colazione al buio?”

Usciamo dalla stanza con la torcia giocando a chi vede le cose dalle forme più strane (ovviamente vince Davide con la sua fantasia libera) e partiamo per un giorno di safari dentro la riserva.

Ci accompagna Christopher, un ranger di poche parole ma –  non si capisce come – “sente” dove sono gli animali! Per questo Stefano ed io lo soprannominiamo “il mistico che tutto percepisce”…

Vediamo – tra le altre decine di animali come zebre, giraffe, antilopi di ogni tipo – ben 8 rinoceronti bianchi:

“mamma è il terzo big five che vediamo!”

La savana ci regala un bellissimo tramonto che salutiamo con un’insolito aperitivo allestito dal nostro ranger con tanto di ottimo vino. Chiudiamo la giornata con una enorme luna rossa infuocata che ci accompagna fino al Lodge.

 

Il giorno dopo partiamo per il Parco Etosha. Il povero Giorgio, seduto per tutto il viaggio davanti, accanto a Stefano, è costretto a salire e scendere più volte dalla macchina per aprire i cancelli mal funzionanti sperando che non sopraggiunga qualche carnivoro della savana!

Davide purtroppo non si sente benissimo, ha una bella tosse, ma ritrova un po’ di energia in un negozietto dove sceglie un elefantino tintinnante per Angela (le piacciono molto le cose che tintinnano, una delle cose che ama di più è la cavigliera con sonagli che le ho riportato dall’India) ed un peluche per lui, tanto per alimentare la sua “misera” collezione.

E’ una zebra che Davide chiama “Tozy”  facendo una sua personalissima crasi tra Etosha e Zebra (quando Stefano gli suggerisce di perfezionare il nome in “Etozy” lui gli risponde – come se fosse la cosa più ovvia del mondo – che “a Zebry non piace la E”).

Apriamo il tetto della nostra auto per avvistare meglio gli animali, Davide si mette subito in piedi sul sedile con Tozy che deve aiutarlo ad avvistare i suoi simili…in effetti vediamo tante zebre!

Tozy ci aiuta anche a passare un po’ il tempo in macchina inventando il gioco di cosa gli piace mangiare, ma l’effetto delle medicine e della tosse ha il sopravvento: Davide riesce ad alzarsi solo per vedere la carcassa di elefante (con avvoltoi e sciacalli) ma poi rimane giù e non vuole alzarsi con noi ad avvistare due leonesse sotto un albero.

Nel pomeriggio torniamo al Lodge, è molto caldo e gli concedo di bagnarsi i piedi nella piscina (anche nel secondo Lodge non era riuscito per via della tosse) ma poi i piedi diventano le gambe e – quando arriva Lapo (con cui nei giorni precedenti si erano studiati e “annusati” a distanza senza trovare lo spunto per interagire) che si tuffa e scherza con il fratello maggiore Mattia – gli concedo di farsi il bagno per agevolare l’amicizia e ce la fanno! Iniziano a giocare insieme tuffandosi felici.

Li guardo e penso alla fortuna che hanno questi bimbi: a 9 anni a fare i tuffi in una piscina sulla savana. Nel frattempo un elefante si abbevera alla pozza.

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A cena mentre noi mangiamo Springbok Davide si fa fare due uova e quando nei giorni seguenti vediamo altre decine di Springbok ci rinfaccia di averli mangiati!

Il giorno dopo dobbiamo lasciare a malincuore il bellissimo Etosha Eights e partiamo per la Petrified Forest, in verità con pochi tronchi pietrificati (ribattezzata infatti da Davide il “deserto pietrificato”, non posso dargli torto) poi visitiamo un villaggio Himba: si tratta di un bel progetto di assistenza e accoglienza.

I piccoli bimbi del villaggio vengono a “pavoneggiarsi” delle loro abilità arrampicandosi scalzi e agili sugli alberi.

     

       

   

 

Mentre la guida parla Davide si interessa solo dei giochi dei bambini (lottano, si tirano i sassi, si inseguono), Davide si siede a terra (non si sente ancora bene, la tosse va meglio ma ora c’è anche il raffreddore, merito del bagno “sociale” in piscina) e gioca con sabbia, legnetti e sassi (oggi ha i pantaloncini bianchi!) si sporca moltissimo:

“Mamma scusa se mi sono sporcato ma volevo provare a giocare come un bambino Himba!”

Non sono mai stata così contenta che si sporcasse!

Un bimbetto Himba si avvicina a Davide, dopo essersi un po’ “studiati” iniziano a “battersi il cinque” tantissime volte!

 

Poi visitiamo la “scuola” del villaggio: 32 bambini dai 3 ai 7 anni in una stanzetta di 10 mq che la giovane maestra ci mostra con orgoglio. C’è un cartello scritto a mano: “Education is the key for a successful life”.

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Arriviamo nello spettacolare Damaraland in puro off-Road e ci si apre uno spettacolo incredibile: una vallata di rocce rosse, “cupole” di granito e distese di ghiaia.

Abbiamo cambiato completamente paesaggio (succede continuamente in Namibia), devo dire non sapevo che questa parte del Paese fosse così spettacolare! Con Davide ci divertiamo a fare il gioco delle forme delle montagne, in cui vince chi riconosce e associa le forme più strane. Mi “straccia” ancora una volta.

 

Un po’ stanchi arriviamo nel nostro eco glamping camp. Lontano da tutto e tutti, nel bel mezzo del deserto roccioso rosso ci accolgono poche tende che in verità sono delle suite con tutti i comfort:

“mamma allora i campeggi non sono così male!”

Spiego a Davide che questa non è proprio la normalità…

C’è un’atmosfera rilassata, libera e a contatto con la natura.

Il fatto di dormire nei glamping è stato uno dei motivi per cui ho scelto questo tour e devo dire che ne vale assolutamente la pena.

 

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Davide, sempre preoccupato per gli scorpioni entra nella rete aprendo e chiudendo la zip in un battibaleno e mi costringe ad entrarci attraverso un minuscola apertura da lui creata arrabbiandosi perché non sono veloce!

 

Trascorriamo qui due notti indimenticabili: l’aria tersa del deserto, il cielo carico di stelle, i rumori della natura…non ci sono parole per descrivere le sensazioni che questo luogo ci ha dato.

Dopo cena ci raccogliamo con i nostri compagni di viaggio intorno al fuoco bevendo Amarula e guardando le stelle (luminose nonostante la luna piena). Intorno al fuoco ci siamo anche asciugati i capelli:

“mamma sembri Ribelle!”

La sera prima di addormentarci abbracciati nella tenda Davide si apre come non mai, ha tutti i sensi vigili, spalanca la mente ed il cuore, mi fa mille domande e non vuole più smettere di parlare. Istintivamente vuole assorbire tutta l’energia atavica di questo posto.  

 

Il giorno dopo andiamo a caccia di elefanti in 4×4 lungo le rive dei tipici fiumi “effimeri” namibiani, apriamo di nuovo il tetto e ne vediamo moltissimi.

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Passiamo attraverso scenografici alberi secchi che a Davide sembrano “zombie”.

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Facciamo una sosta davanti ad un ex ristorante ormai abbandonato dove il gioco di Davide Lapo e Mattia è fare canestro con i sassi in un bidone di latta!

 

Saliamo poi sulla cima di una collina con bellissima vista, mentre noi prendiamo tè e biscotti (le nostre fantastiche guide pensano proprio a tutto!) e ammiriamo estasiati il panorama, Davide e Lapo si divertono a correre e rotolarsi sul pendio e a scolpire pietre:

“mamma questa la sto scolpendo per te!”

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A pranzo ci fermiamo in un bel Lodge in mezzo a grandissime pietre rosse e finalmente Davide trova un piatto di spaghetti (di cui in verità portano immeritatamente il nome) ma il sugo che ci propongono è salsa di pomodoro cruda, meglio accontentarsi della “ricetta” in bianco con solo olio.

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Dopo pranzo andiamo a vedere le Incisioni rupestri di Twifelfontein, un’ottima occasione per camminare un po’ e una bella avventura per Davide per arrampicarsi e farsi regalare una fionda:

“Amore te la compro solo se mi prometti di farne un uso intelligente”

“Ok mamma!”

“Ma sai cosa intendo per uso intelligente?”

“Si mamma, non usarla verso Angela!”

Gli faccio notare che costa 180 dollari namibiani, e lui mi promette in cambio 180 baci (debito che ovviamente non estinguerà, purtroppo per me è iniziata l’età del

“bacio a mamma non davanti agli altri”.

 

Passiamo un’altra stupenda notte al Glamping e la mattina partiamo per la Skeleton Coast. Scendiamo verso l’Oceano ed il paesaggio cambia drasticamente di nuovo.

Ci fermiamo a Cape Cross per vedere la colonia di migliaia di otarie; direi soprattutto sentire, considerando il fortissimo cattivo odore che questa colonia emana!

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Facciamo un’altra sosta al relitto incagliato vicino la costa a sud di Antis Bay, dove Davide è colto da un dubbio:

“mamma ma sul relitto ci sono gli scheletri?”

   

 

Arriviamo a Swakopmund e pranziamo in un ristorante italiano dove c’è la lasagna e Davide finalmente mangia con gusto.

Il buon Stefano si offre di accompagnare Davide al rettilario:

“mamma ho visto il serpente sputatore!”

 come se io sapessi di cosa si trattasse…

Io ne approfitto per uno spettacolare volo su un Cessna a 6 posti sorvolando dune e Oceano.

Il pilota chiede chi vuole fargli da co-pilota. Non lo faccio nemmeno finire di pronunciare queste parole che già alzo la mano entusiasta per propormi!

 

Ovviamente non posso perdermi l’occasione di sedere accanto al posto di comando di un Cessna sorvolando il deserto della Namibia!

Sotto ai miei occhi si apre uno spettacolo grandioso: una distesa infinita di dune disegnate magistralmente dal vento, solo la natura sa fare tanto.

Sembrano lenzuola di seta ocra a tratti liscissima ed a tratti “stropicciata”,  fino a diventare alti muri di sabbia che si tuffano nell’Oceano!

 

 

Dopo questa emozionante avventura passiamo una piacevole serata sul mare con una buona cena al “The tug”. E’ una giornata fortunata per Davide che può mangiare un altro suo piatto preferito: i gamberi e poi anche gelato al cioccolato! 

In hotel ci danno una stanza familiare con due camere da letto e lui decide di dormire in una delle due

“così mamma mi riabituo a dormire da solo”.

Questa sosta nella piccola cittadina di Swakpmund forse a qualcuno può dare un po’ di “stacco” e “recupero da nostalgia metropolitana”, ma io ne avrei fatto volentieri a meno….la città non mi manca per niente e non vedo l’ora di immergermi di nuovo nella vibrante natura africana.

Il giorno dopo facciamo una gita in catamarano nella baia di Walvis Bay, Davide è contento perché vede otarie e pellicani (che salgono sulla barca), delfini, meduse rosa, un gigantesco pesce luna che qui chiamano “mola mola”.

Noi altri non siamo entusiasti anche a causa del maltempo, Roberta soffre un po’ il mare (che per fortuna non si muove perché siamo in una laguna) e conta i minuti che mancano al rientro, mentre Sergio si consola mangiando ostriche!

 

Una volta arrivati a terra troviamo un negozietto e mentre cerco un altro regalino per Angela vedo una parete piena di magneti, dico a Davide di cercarne uno da mettere sul nostro frigo che ci ricordi la Namibia.

Lui – tra decine di magneti a forma di animali namibiani – cosa va a prendere? L’unica rana! Il motivo è semplice e lineare come solo i bambini sanno essere:

“Perché mi piace!”

 Il nostro nuovo amico trova posto sul tetto della macchina; effettivamente è carina perché si muove tutta con le sue zampe penzoloni e resiste eroicamente a tutte le buche e dossi namibiani!

  

 

Arriviamo nel deserto del Namib, dove si apre un nuovo scenario: enormi dune di sabbia rossa.

Capisco subito che è un altro posto che porterò per sempre nel cuore…di quei posti dove fai tutto intensamente: guardi e respiri intensamente come per cercare di imprimere per sempre negli occhi, nelle narici e nel cuore quei colori, quell’aria, quelle emozioni.

Il Glamping che ci aspetta è in un luogo “non luogo”, sembra di stare su un altro pianeta, forse su Marte.

Anche qui poche tende (di nuovo con altissimi livelli di comfort) che si affacciano su un paesaggio ancora più eccezionale.

Siamo gli unici in un’area di più di 40 chilometri quadrati!

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Rimarrei qui giorni e giorni solo a contemplare e respirare in assoluto silenzio.

Il cielo che ci aspetta la notte è il più bello di tutto il viaggio.

Il più bello della mia vita l’ho visto a Bird Island, un isolotto incontaminato nell’arcipelago delle Seychelles (mi ricordo che quando uscii dal mio bungalow e guardai in alto fui letteralmente spaventata dalla vicinanza e grandezza delle stelle, che sembravano a 10 cm dal mio naso).

Ma anche questo del Namib è stato davvero emozionante….migliaia di stelle nitide e “vive”:

“mamma perché qui le stelle si accendono e spengono continuamente?”

Sono rese ancora più belle dalla spiegazione di Stefano e Andrea (la guida dell’altro gruppo,  un simpaticissimo italiano trapiantato da quasi 20 anni in Namibia) che fanno spegnere le poche luci del camping e con un laser puntano le stelle mentre ce le spiegano.

La Via Lattea e le costellazioni di Magellano sono meravigliose. 

Il giorno dopo ci aspetta l’ennesima sveglia di notte per arrivare all’alba alle dune di Sossusvlei…ed è

amore a prima vista!

La sabbia rossa si infuoca ancora di più con la luce del sole nascente:

attimi di pura poesia.

   

Raggiungiamo la zona dove si erge una delle dune più alte, lungo la sua cresta i più temerari salgono fino alla cima.

Partiamo tutti e 9 con grande coraggio ed entusiasmo, 5 di noi arrivano fino a su: Davide, io, Stefano, Armando (d’altronde è un maratoneta) e l’inossidabile Sergio che con i suoi 78 anni e grande esperienza da “montanaro” si avvia indefesso fino a su.

La salita comporta qualche fatica anche perché è da fare tutta affondando sulla sabbia morbidissima:

“mamma salire sulle dune non ha poi tanta comodezza”

A Davide piace usare termini strani ispirati alla sua sorellina…

Lo sforzo vale assolutamente la meravigliosa vista che si ha dalla cima.

 

E’ decisamente il deserto più bello che io abbia mai visto.

Per colore mi ricorda quello del Wadi Rum che vidi e amai in Giordania, ma questo ha un’immensità ed un’armonia unici.

In basso, a contrasto con il rosso della sabbia, spiccano gli spettrali laghi bianchi e secchi.

Meraviglia. Stupore. Magia.

Non vorrei mai andare via da quassù.

Quando ripenso a queste sensazioni mi viene sempre in mente una frase di Alda Merini:

“C’è un posto nel mondo dove il cuore batte forte, dove rimani senza fiato per quanta emozione provi; dove il tempo si ferma e non hai più l’età.”

 

Quando scopre che per scendere dalla cima non si usa la cresta ma il ripido fianco della duna Davide è spaventato e non vuole farlo.

Poi vede che qualcuno lo fa divertendosi e si decide.

Da quel momento  inizia a correre rotolare e divertirsi come un matto giù verso le pendici.

Ci diamo la mano e corriamo insieme buttandoci sulla sabbia.

Poi ci togliamo le scarpe e a piedi nudi affondiamo le gambe fino al ginocchio nella sabbia rossa morbida e ancora fresca del deserto più antico del mondo (80 milioni di anni!).

Gridiamo di gioia e di vita!

 

La grande palude arida “Dead Vlei” che ci aspetta in basso è un paesaggio spettrale ma allo stesso tempo meraviglioso.

Il contrasto tra il rosso acceso della sabbia, il bianco accecante del suolo, l’azzurro intenso del cielo ed il nero profondo degli alberi essiccati è reso ancora più “drammatico” dalla purezza dell’aria.

Una volta la valle era attraversata da un fiume che nutriva le acacie, ma più di 900 anni fa ha deviato il suo corso, lasciandola completamente arida. Gli alberi sono bruciati dal sole, scheletri neri di acacie che non si decompongono proprio perché poggiano su una terra troppo secca!

     

Lungo il tragitto di rientro ci sono altri alberi che catturano l’attenzione di Davide:

“mamma cosa sono quelle grandi palle di erba secca sopra gli alberi?”

Stefano ci spiega che si tratta dei grandi nidi degli uccelli tessitori sociali, dei veri e propri “condomini” che possono ospitare anche fino a centinaia di esemplari!

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Nei due giorni seguenti ci avrebbero aspettato il bel deserto del Kalahari ed il rientro a Windhoek, ma il nostro cuore è rimasto sulle dune del Namib

Quando sull’aereo di ritorno chiedo a Davide:

“Amore quale è la cosa che  ti è piaciuta di più del viaggio?”

lui mi risponde:

“Mamma, le dune di sabbia rossa da cui ci siamo rotolati!”

Menomale…temevo mi dicesse il bagno in piscina!

 

Ringrazio Andrea, mio marito, perché se non fosse per la sua comprensione e amore non avrei potuto fare questo viaggio lasciando a casa la mia piccola Angela.

Ringrazio Stefano per la generosità intellettuale ed emozionale con cui ci ha guidato. Grazie anche ad Andrea, che pur non essendo guida diretta del nostro gruppo ha allietato i momenti comuni con la sua contagiosa risata, un piacevole connubio tra precisione e stravaganza. 

Ringrazio i nostri compagni di viaggio:

Armando per le opere ingegneristiche “rinfrescanti” nei finestrini della macchina e le spiegazioni sulla posizione del sole lungo il Tropico del Capricorno

Roberta per le sue ricette “di una volta” e per avermi “salvato” dai grilli in camera

Morena per le belle chiacchierate su New York

Giorgio per aver insegnato a Davide come tirare con la fionda

Elsa per averci fatto sognare con i racconti della sua pasta fatta in casa

Sergio per il grande esempio di forza e determinazione.

E tutti per le risate, le chiacchierate intorno al fuoco, la pazienza nei confronti di un bambino di 9 anni attaccato alle calcagna per 12 giorni!

Soprattutto ringrazio mio figlio Davide per avermi fatto vedere con i suoi occhi pieni di stupore questo angolo di mondo tanto bello da togliere il fiato.