Il sogno di visitare Samarcanda ce l’avevo da sempre.

Era nella lista dei “viaggi da fare assolutamente”. Nella mia ed in quella di Fabiana, mia cugina, grande amica da quando eravamo bambine. Ne parliamo passeggiando su una spiaggia, sognando di luoghi lontani e leggendari.
Un mese dopo Fabiana mi propone di fare subito questa avventura insieme, senza mariti e senza figli. Non ci penso un attimo, poche settimane dopo partiamo per l’Uzbekistan, alla scoperta di rotte leggendarie!

Quando prima di partire raccontiamo la meta del nostro viaggio ci guardano quasi tutti sbalorditi, facendo fatica a pronunciare e collocare nel mondo questo “strano” Paese, di cui hanno una cognizione molto vaga:

“L’Uzbekistan?? E dove si trova?”

E noi più allibite di loro: “Ma come! In Asia Centrale!”

In quelle settimane ci divertiamo a guardare le loro facce e rispondere alle mille domande:

“E cosa ci andate a fare?” “Ma cosa c’è di bello?” “Ma sarà sicuro?”

Notiamo che in tutti i dubbi si sciolgono davanti ad un’unica parola:

SAMARCANDA

Al solo pronunciare questo nome così evocativo e leggendario la reticenza si trasforma magicamente in stupore ed ammirazione.

Quando poi aggiungiamo che ripercorreremo un importante tratto della VIA DELLA SETA arriva anche un po’ di invidia!

Partiamo così, con la valigia dell’anima carica di sogni, miti e misteri.

Pronte ad assorbire tutto il fascino di luoghi millenari.


La via della seta

La Via della Seta: uno dei luoghi al mondo con l’immaginario più potente!


Chiudo gli occhi e vedo davanti a me i carovanieri, i pellegrini, i viaggiatori che l’hanno percorsa per oltre duemila anni, trasportando e commerciando non solo seta, ma anche tè, porcellane, profumi, spezie, animali, metalli preziosi.


Una rotta leggendaria, evocativa, esotica, che da Oriente ad Occidente attraversava proprio l’Asia Centrale e l’Uzbekistan.


Mi emoziona pensare come un tale movimento di popoli abbia permeato questi luoghi di tante diverse tradizioni, lingue, religioni, conoscenze.
Un crocevia che ha costituito un grande patrimonio culturale, senza il quale anche i tempi moderni sarebbero stati diversi.

Forse è anche per questo che l’Unesco l’ha definita la via del dialogo.
Bellissimo nome, non trovi?

Ma, tornando al nostro viaggio, scegliamo un itinerario che ci accompagni lungo Khiva, Bukhara e Samarcanda: le tre città emblema di questa affascinante rotta.


Khiva, dove il tempo si è fermato

Arrivare a Khiva è come passare attraverso una magica porta del tempo ed entrare nel mondo di “Le mille e una notte“.

Il cielo terso, le mura sinuose, i minareti, le madrase (ex scuole coraniche), le cupole, le vie polverose, i mercati artigianali, le signore che cuociono il pane nel tandoor, le maioliche turchesi, gli stucchi a merletto, il caldo vento secco: Khiva è poesia.

L’impatto è fortissimo ma dolcissimo, ci colpisce gli occhi ed i sensi ma al tempo stesso ci accarezza con la sua nostalgica bellezza.

Le sue origini risalgono a 2.500 anni fa, nella sua storia ha alternato splendori e decadenza, è stata distrutta e ricostruita, ma ha conservato intatto tutto il suo fascino.

Ancora prima di entrare nel nucleo originario della città ci soffermiamo ad ammirare le possenti mura che la custodiscono come un prezioso scrigno. Sono davvero belle: la terra cruda, il profilo scosceso, le panciute torri merlate che si intervallano, l’andamento sinuoso, la intensa tonalità ambrata che le colora al tramonto.

Uno spettacolo degno di ciò che troviamo dopo averle attraversate: Ichan-Kala, la città vecchia.

Non mi stupisce che venga definita una “città museo a cielo aperto“.

Il tempo sembra davvero essersi fermato ai tempi in cui a Khiva facevano sosta le carovane che percorrevano la Via della seta per dissetarsi alle sue sorgenti (il nome in arabo significa “come è buona quest’acqua“). D’altronde al tempo questa era l’ultima sosta prima della traversata del deserto iraniano.

Passeggiamo lungo le sue strade guardandoci continuamente intorno, rimaniamo attonite dalla bellezza dei suoi 50 monumenti e oltre 250 abitazioni private. D’altronde Khiva è stato il primo sito in Uzbekistan ad essere dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco (era il 1990).

Le moschee, le fortezze, i palazzi, i minareti, le madrase, è tutto suggestivo.

Anche le porte sono meravigliose a Khiva! Di legno, con intarsi dalle mille forme ed incorniciate tra maioliche turchesi….

Il posto che mi colpisce di più è la Moschea Juma, proprio al centro della città vecchia. La guida ci racconta tante cose, ma io sento il bisogno di appartarmi, sedermi ed ammirare in silenzio questo luogo così semplice e magico. Non ci sono colori sgargianti, né sfarzi, ma un’unica sala con 215 colonne di legno. Una leggera brezza ed una luce soffusa entrano da piccole aperture del soffitto e rendono il tutto ancora più suggestivo.

Non che il resto sia meno bello, ma diverso, decisamente più “sgargiante”: gli edifici di mattoni cotti sono decorati con maioliche smaltate dai colori accesi a formare strane geometrie (soprattutto le tipiche “farfallette”) e tipici arabeschi.

Il turchese è il colore predominante delle decorazioni e mi chiedo se la scelta cromatica sia stata voluta per creare un bellissimo richiamo con il turchese del cielo.

Un cielo limpido, terso, cristallino, brillante. Tra le cose più belle di questo viaggio. Mi ricorda quello che mi sovrastava splendido sopra al Nilo nella navigazione lungo i templi egizi.

E’ bellissimo passeggiare lungo le strade di Khiva, dove al posto delle macchine ci sono i cammell; i pochi hotel non sono palazzi moderni ma semplici piccole pensioni ricavate tra gli edifici storici; i negozi sono carretti e bazar all’aria aperta pieni di tessuti variegati, tappeti colorati, gioiellini fatti a mano; i ristoranti piccole taverne con la signora che impasta e cuoce il pane davanti a noi.

La passeggiata serale è ancora più suggestiva, perché il centro storico si svuota (quasi tutte le persone che lo animano durante il giorno si ritirano al tramonto nelle loro case fuori dalle mura), tutto si tinge di rosso, l’aria tersa si carica di silenzio e sogno.


Bukhara, frizzante ed intensa

Lasciamo Khiva un po’ a malincuore, non sapendo ancora quanta bellezza e vitalità ci aspetta nella nostra prossima tappa: Bukhara, un’oasi verde nel mezzo del deserto, quindi al tempo un’altra preziosa sosta per le carovane dell’antica Via della Seta.

Anche Bukhara è antica, però ha un’anima diversa: tutto il suo glorioso passato si respira intensamente in un centro storico rimasto immutato negli ultimi due secoli, ma ancora abitato e molto vissuto. E’ piena di monumenti protetti dall’Unesco, ma anche di persone nella loro quotidianità: bambini che escono da scuola, amiche che passeggiano, signori che si recano al bazar con il loro carretto.

La città non è completamente pedonale come la parte vecchia di Khiva, ma anche vedere le “strane” macchine che circolano è uno spasso!

Khiva è bella perché rarefatta e sognante, Bukhara perché frizzante e intensa.

Forse la rendono così anche i suoi tanti toks, gli animatissimi e labirintici bazar coperti e sormontati da cupole. In epoca Samanide Bukhara ne aveva ben 11! Sono tuttora divisi in base al tipo di merce che vendono, indicato dal nome della cupola stessa. E’ davvero divertente passeggiare tra tanti colori e profumi, impossibile non comprare!

Gli oggetti di artigianato che hanno reso famosi i maestri uzbeki sono meravigliosi: le ceramiche con le decorazioni che richiamano quelle delle moschee e dei minareti, i tessuti con ricami in oro, i gioielli in argento e pietre preziose, i coltelli, i fischietti, i tappeti variopinti e chi più ne ha più ne metta! Bukhara è stata nei secoli un importante fulcro commerciale, e si vede chiaramente!

Ma questa città è anche tanto altro, ancora memore della sua importanza nella storia come grande centro culturale che le è valsa il nome di nobile Bukhara. In città non giungevano solo le carovane ma anche molti studiosi per assorbire le conoscenze dei più grandi scienziati, medici, letterati e filosofi dell’Asia centrale.

E ancora non basta, perché è stata anche definita la città santa: un importante fulcro per la cultura musulmana e gli studi islamici, centro di culto e pellegrinaggio, considerata di poco inferiore solo a la Mecca, Medina e Gerusalemme.

Un proverbio uzbeko dice:

Samarcanda è la meraviglia della terra, ma Bukhara è la meraviglia dello spirito.” 

Come al solito i proverbi colgono nel segno. E’ una città molto intensa: tutte le sue anime si intrecciano, rafforzandosi l’una con l’altra e rendendo Bukhara davvero notevole.

Anche la ricchezza architettonica dei suoi quasi 200 edifici storici lascia senza parole: moschee, minareti, mausolei, palazzi, madrase, biblioteche, fortezze – un trionfo di monumenti imponenti e favolosi.

Tra tutti quello che mi colpisce di più è il complesso Poi-Kalyan, di cui fanno parte una moschea e due madrase (tutte sormontate da brillanti cupole turchesi) ed il famoso minareto Kailan, che con i suoi 47 metri è il più grande dell’Asia Centrale. Serviva un tempo a chiamare i fedeli alla preghiera ma anche come faro per orientare le carovane. Si racconta che Gengis Khan, colpito dalla sua bellezza e potenza decise di non farlo distruggere.

Il cortile aperto della moschea, su cui si affacciano anche le madrase ed il minareto è molto grande, può ospitare fino a 10.000 fedeli. E’ strano, eppure in uno spazio così vasto provo un senso di pace ed intimità.

Non so, mi sento protetta da tanta bellezza, imponente ma al contempo armoniosa ed elegante.

Proprio mentre sono lì ad ammirare questo spettacolo mi si avvicina una signora anziana con lo sguardo intenso, il sorriso di una bambina ed il viso intriso di storia. Ne rimango subito affascinata. Mi chiede a gesti di fare una foto insieme, ne sono onorata.

E’ la mia foto preferita tra le tante fatte in Uzbekistan, ogni tanto me la guardo e mi infonde forza e gioia. Anche noi due abbiamo contribuito a percorrere la “Via del dialogo“, pur non parlando la stessa lingua.

Esco dal complesso inebriata da tante belle emozioni e mi ritrovo nella Piazza Lyabi-Hauz, immersa tra ballerine uzbeke che vestite di abiti tipici ballano sul sottofondo di una piacevolissima musica. Bukhara non finisce mai di stupirmi.


Shahrisabz, nel cuore di Tamerlano

Nel lungo tragitto che separa Bukhara da Samarcanda ci fermiamo per una sosta a Shahrisabz. Altro che “sosta tecnica”! Questo posto – patrimonio Unesco – è stupefacente!

Il suo nome impronunciabile ed il suono persiano per noi ostico nascondono un significato bello: la “città verde”, dovuto ai giardini rigogliosi, ai frutteti ed orti che la adornavano fino ai confini con il deserto.

Ancora più bello il significato del suo nome antico Kesh, ovvero “cara al cuore“, nome premonitore del grande amore che Tamerlano nutrì per lei. E’ infatti qui che il leggendario condottiero nacque, trascorse la sua infanzia ed adolescenza e ne fece la seconda capitale del grande paese che governò.

Prima di lui la città vide passare tanti condottieri: distrutta dal re persiano Dario, conquistata da Alessandro Magno, saccheggiata da Gengis Khan. Depredata più volte, ma sempre rinata più forte di prima.

Quando Tamerlano prese il potere ne fece una città splendida, chiamando i migliori architetti ed artisti per progettare e costruire maestose opere. In particolare la più magnificente di tutte fu il Palazzo Ak-Aaray (“palazzo bianco“, non tanto per i colori ma per le nobili origini), progettato per dover essere la sua opera più grandiosa. E sicuramente ci riuscì.

Il portale di ingresso era alto 50 metri, gli archi erano larghi 22 metri, la volta era la più grande dell’Asia centrale, i pavimenti del cortile interno erano di marmo e ceramica pregiati, preziosi mosaici in filigrana rivestivano le pareti. I colori predominanti erano azzurro, turchese ed oro (dorato pare fosse anche il soffitto della sala dei ricevimenti).

Le tante stanze, le sale da pranzo, i giardini, le fontane, ne fecero sicuramente uno degli edifici più belli al mondo. Doveva essere la sua residenza estiva e ci vollero 24 anni per costruirlo, grazie alla progettazione di un architetto iraniano e al lavoro degli artigiani deportati dai paesi conquistati.

L’ambasciatore spagnolo Rue Gonzales de Klavikho nel suo “Viaggio a Samarcanda 1403-1406” scrisse:

La sontuosità e la bellezza di questo palazzo sono tali che è impossibile descriverlo adeguatamente, ma bisogna vederlo di persona”.

Si racconta che le grandi dimensioni del Palazzo trassero in inganno un emiro: vedendolo da lontano e pensando di essere quasi arrivato spronò il suo cavallo a correre, ma la strada da fare era ancora talmente tanta che il cavallo morì sfiancato lungo il tragitto.

Oggi purtroppo non rimane molto degli antichi fasti e delle complesse strutture, ma i ruderi del portale centrale, due delle alte torri, le decorazioni di ceramiche sopravvissute su pareti e pavimenti fanno intuire la magnificenza e lo splendore di questa incredibile opera.

Provo una strana e contrastante sensazione: opere così colossali eppure di una raffinatezza unica. E – di nuovo – un grande senso di pace.

Sopra il portale dell’Ak-Saray ci sono enormi lettere che dicono:

“Se sfidi il nostro potere guarda i nostri edifici!”

Ecco, credo che proprio questo Tamerlano volesse comunicare…

Lui la amò talmente da chiedere di esservi sepolto, ma purtroppo non ci riuscì. Era in marcia verso Oriente per cercare di conquistare la Cina con i suoi 200.000 guerrieri ma una polmonite lo uccise all’improvviso. Le truppe provarono ad esaudire il suo desiderio e portare il suo corpo a Shahrisabz, dove era già pronta la sua tomba, ma le strade erano piene di ghiaccio e neve, per cui dovettero ripiegare su Samarcanda, dove ancora oggi è sepolto.

Strano pensare che un condottiero così leggendario, sempre vittorioso, fautore di un vastissimo Impero, conquistatore crudele, nemico spietato, incessante edificatore e grande governatore sia stato “beffato” da un po’ di neve…

E’ tale la bellezza del posto che ci dimentichiamo quasi di esserci fermati per una sosta e dobbiamo ripartire alla volta di Samarcanda! Durante il lungo tragitto è proprio giunto il momento di cantare tutti insieme a squarciagola:

“Fino a Samarcanda io ti guiderò,
Non ti fermare, vola ti prego
Corri come il vento che mi salverò
Oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh, cavallo, oh oh”

Sicuramente non rendiamo giustizia all’arte di Roberto Vecchioni, ma ci divertiamo tantissimo!


Samarcanda, il sogno si avvera

Samarcanda l’ho sognata, l’ho desiderata, l’ho immaginata. E lei è lì, da 2.750 anni, ad aspettarmi, come fa con tutti i suoi “ammiratori”, pronta ad avvolgermi, stupirmi, inebriarmi .

L’arrivo prova a trarmi in inganno perché la sua parte moderna è una tipica anonima città sovietica. Ma non ci riesce: so purtroppo dall’esperienza di altre città millenarie che le moderne giungle urbane sono state spesso costruite in modo selvaggio e ben poco rispettoso della storia e bellezza dei centri storici e siti archeologici che conservano al loro interno. Penso a Il Cairo, a Roma, ad Atene. Purtroppo Samarcanda non fa eccezione.

Questo arrivo rende ancora più stupefacente quello che mi accoglie nell’anima di questa città evocativa.

Samarcanda è’ una tale leggenda che mi viene da chiedermi se esista ancora o se sia ormai solo nel mito come Atlantide. Per fortuna esiste eccome, ed è lì da secoli per meravigliare.

Anche l’origine del suo nome è poetico: si racconta che Samar e Kand fossero i nomi di due ragazzi innamorati ma osteggiati dal re – padre di lei -che fece uccidere lui. Lei morì gettandosi dal palazzo reale per la disperazione.

Ma la leggenda di Samarcanda va ben oltre questa triste storia che ritroviamo in tante favole del mondo e racconta di una tra le città più antiche del mondo, quando ancora si chiamava Marakanda:

“Tutto quello che ho udito di Marakanda è vero, tranne il fatto che è più bella di quanto immaginassi”.

Alessandro Magno – 329 a.C.

La sua bellezza ed importanza commerciale e culturale sono andate avanti per secoli, come lo storico crocevia tra Oriente e Occidente e principale caravanserraglio della Via della Seta. Proprio sotto il titolo di “Crocevia di Culture” Samarcanda è stata dichiarata nel 2001 patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

Nella sua lunga vita è stata più volte distrutta (Gengis Khan ha dato il suo “meglio” anche qui), ma è sempre risorta più forte e bella di prima. Raggiunse il suo massimo splendore grazie a Tamerlano che ne fece il centro del suo Impero. Considerato come un Lorenzo il Magnifico uzbeko, nei suoi 35 anni di governo fece costruire grandiosi palazzi, magnifici monumenti, seguendo personalmente i progetti e chiamando accanto a sé i migliori architetti e artigiani dai posti più lontani. Ovviamente per farlo sfruttò i bottini ed i prigionieri di guerra, ma questa è un’altra storia: quella dell’ “altro Tamerlano”, il conquistatore spietato.

Palazzi, moschee, piazze, fontane, orti, giardini, mercati. Doveva essere magnifica. E quando suo nipote Ulugh Beg prese il potere la fece fiorire anche dal punto di vista scientifico. Mentre lo zio era mecenate dell’arte, Ulug era un eminente scienziato. Gli dobbiamo, tra le altre cose, la costruzione della prima madrasa di quello spettacolo unico al mondo che è il Registan.

La magia del Registan

C’era una volta una piazza dove avvenivano le esecuzioni, poi divenne sede di un bazar che Ulugh Beg trasferì altrove per farne infine un centro religioso e culturale.

Iniziò così la costruzione della prima stupenda madrasa (la più alta istituzione scolastica musulmana), tra le più imponenti e famose di tutto l’Oriente. Ospitava 100 studenti e lui vi insegnava astronomia. Era amante degli studi scientifici e si dedicò molto all’educazione scolastica dei giovani. Gli studi, rivolti non solo alle scienze ma a tutte le discipline, duravano 10, 12 o 20 anni in base alle materie scelte. Unico punto fermo era lo studio del Corano, obbligatorio.

Mi chiedo come dovesse essere studiare in un luogo così splendido, sicuramente di grande ispirazione!

Arriviamo a Samarcanda di sera dopo il lungo trasferimento da Bukhara, andiamo direttamente in albergo e ci ritiriamo in stanza salutandoci con i nostri compagni di viaggio e rimandando all’indomani l’inizio della visita. Ma dopo una breve doccia l’impulso di uscire a “sbirciare” il Registan lì vicino è irresistibile.

E’ buio, ci avviciniamo a piedi emozionate come per un appuntamento amoroso e tutto d’un tratto ci appare all’improvviso la magia.

E’ una visione che mi lascia estasiata.

La piazza si concede generosa, prorompente in tutta la sua bellezza. Mi fa sentire speciale, privilegiata. L’illuminazione magistralmente studiata la esalta in un gioco di luci ed ombre che rende le sue forme ancora più sinuose ed i suoi colori ancora più pulsanti.

E’ tutto magnifico: gli archi imponenti rivestiti di maioliche variopinte e smaltate, i mosaici, le cupole turchesi decorate d’oro, i pavimenti in marmo di mille colori.

“Un fuoco d’artificio congelato per l’eternità”

Arthur Koestler

Grandiosa e suggestiva. Mi sorprende mille volte, perché esco e rientro da diversi punti ed è sempre una visione nuova.

All’improvviso le luci iniziano a cambiare: quella che doveva essere una “sbirciatina al volo” diventa un’esperienza indimenticabile.

Siamo capitate nel bel mezzo delle prove per uno spettacolo di “Luci e Suoni”.

Le tre madrase sono imponenti e disposte su tre lati in modo da accogliermi in un caldo abbraccio, come tre sirene inebrianti mi richiamano verso il centro della piazza. E’ come se avessi sul quarto lato una porta immaginaria che si chiude alle mie spalle per farmi immergere in un mondo parallelo.

Così maestoso e allo stesso tempo leggero.

Potente, eppure delicato.

Il cuore batte forte, ma è in pace.

Grazie Registan, non ti dimenticherò mai.


Il mercato di Samarcanda

“Se vuoi che una storia faccia il giro del mondo la devi raccontare al mercato di Samarcanda”

Questo antico proverbio fa capire quanto la città fosse considerata al tempo il fulcro del mondo.

Ed ancora oggi non si può assolutamente mancare una visita al frizzante Bazar di Siob, un tripudio di colori, odori e sorrisi!

La frutta e la verdura sono stupendi: melograni scarlatti, angurie grandissime, agrumi, spezie, frutta secca…

e il pane appena sformato esposto sulle carrozzine!

Anche le “edicole” sono improvvisate su delle panche di legno….

Amo i mercati, è sempre una meravigliosa immersione nella vita e nella verità di un paese, di cui ogni volta raccontano tanto…


Shah-i-Zinda, un’esplosione di colori!

Samarcanda è così: quando pensi che abbia dato il meglio di sé ti sorprende ancora.

Credevo che i miei occhi si fossero già riempiti di tutti i colori ed il mio cuore di tutte le emozioni e invece poi mi ritrovo di nuovo esterrefatta davanti ad un altro complesso monumentale straordinario: la necropoli di Shah-i-Zinda. Il suo nome vuol dire “re vivente” ed in effetti questo che dovrebbe essere un luogo di morte mi ha parlato di vita e di gioia.

I suoi mausolei non mi trasmettono né tristezza né decadimento, ma sono piuttosto un inno alla bellezza.

Accedo alla necropoli attraverso una lunga scalinata, la guida mi dice di contare gli scalini, invitandomi a ricordarmi di contarli di nuovo all’uscita. Non vuole spiegarmi di più….

Sono lì a chiedermi ancora il senso di questa cosa quando ciò che mi si apre davanti agli occhi cattura tutta la mia attenzione rendendomi impossibile pensare ad altro.

Ho davanti a me un lungo viale in salita in cui una ventina di mausolei si fronteggiano come a fare una gara tra il più bello, il più splendente ed il più colorato. Tutte le facciate sono interamente rivestite di maioliche, ceramiche e mosaici smaltati, un continuo gioco di colori brillanti tra il bianco il blu zaffiro ed il turchese.

Ed il cielo più terso di tutto il viaggio a fare da soffitto naturale a questa meraviglia.

Pare che, oltre ai parenti di Tamerlano, anche il cugino di Maometto sia sepolto qui, la leggenda vuole che dopo essere stato decapitato prese la sua testa e andò nel pozzo profondo dove ancora vive. Questo ne fa un’importante meta di pellegrinaggi, è bellissimo vedere tanti uzbeki in visita.

Ma ancora più bello “scoprire” in angoli nascosti fedeli pregare intensamente, immersi in un mistico mondo parallelo.

Quando vado via la guida mi ricorda di contare di nuovo gli scalini (ovviamente presa da tanta meraviglia me ne ero dimenticata) e mi chiede se è lo stesso numero che ho contato all’inizio. “Certo, ovvio!” rispondo sorpresa dalla sua domanda. E lui: “Ah bene, allora vuol dire che ti sei purificata dei tuoi peccati. Se il numero fosse stato diverso avrebbe significato di no”.

Ovvio.

“E non vi ho raccontato neanche la metà di ciò che ho visto.”

Marco Polo

Ecco, mi sento come Marco Polo, vorrei raccontarvi ancora tanto altro di questo viaggio suggestivo.

Ma al di là dei tanti monumenti magnificenti quello che mi è rimasto nell’anima è magia ammaliante e bellezza potente.

Caleidoscopio di colori e di suggestioni.

Via della Seta, sì, ma soprattutto Via delle emozioni. Nitide e vibranti.